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Devil May Cry vs Devil May Cry 3 – Due capolavori a confronto

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Come nasce l’idea di questo articolo?

Da sempre una delle mie serie preferite è quella di Devil May Cry. Sviluppato da Capcom con a capo del progetto Hideki Kamiya, il primo capitolo usciva proprio oggi in Giappone nel 2001, in esclusiva per il monolite nero di casa Sony: la PlayStation 2. Un’esclusiva di quelle pazzesche e che avrebbe ridefinito di lì a poco il genere degli action hack ‘n slash. Nonostante l’evoluzione della saga, resto legatissimo al primo capitolo, che ritengo ad oggi il più riuscito in assoluto – il migliore insomma –, nonché quello che incarna maggiormente lo spirito e l’essenza di Devil May Cry. Oggi però non siamo qui solo per celebrare una ricorrenza. Siccome in linea di massima il capitolo più apprezzato è il 3 (anche se il 5 pare abbia cambiato le carte in tavola), io e Matteo Benelli, a seguito di lunghe chiacchierate in merito all’argomento in questione, abbiamo deciso di confrontarci proprio su tal quesito: ma è meglio Devil May Cry o Devil May Cry 3? Tenendo conto che io preferisco il primo e lui il terzo. Andremo a spiegare dunque le motivazioni che ci portano alle nostre preferenze, cercando al contempo di essere anche onesti intellettualmente sugli aspetti per i quali un capitolo risulti superiore all’altro e tirar fuori un’analisi che possa rimarcare i punti forza delle due opere oltre che evidenziare le nostre pure predilezioni. Dare modo al lettore di schierarsi a favore dell’uno o dell’altro, ma anche di riflettere e cambiare eventualmente idea o ancora schiarirle in caso di indecisione. Questo articolo (simpaticamente) Versus non vuole quindi essere solo uno scontro tra due appassionati con opinione divergente, bensì uno spunto di analisi e riflessione che nasce da un confronto e un minimo di contraddittorio.

Un piccolo avviso per coloro che ancora non hanno avuto modo di godere della serie Capcom (dovreste vergognarvi): potrebbero esserci spoiler e rivelazioni varie qua e là. È vero che sono giochi ormai datati, ma sono del parere che comunque ci sia sempre chi non ha potuto godere di un qualcosa nel suo periodo storico, pertanto avvisare non fa mai male.

Bando alle ciance, direi sia giunto il momento di iniziare.

“Let’s Rock, baby!”

Devil May Cry

Punto di vista di Ismaele: Devil May Cry

“Wanna know the name? Devil May Cry”

Da dove comincio? Era il lontano 2002 quando approcciai per la prima volta con Devil May Cry grazie ad una PlayStation 2 dataci in prestito da un nostro vecchio amico di famiglia. Tra i vari giochi che alimentavano il mio appetito di piccolo nerd quale ero, come GTA Vice City e Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty (giusto per menzionarne due), c’era appunto questo famigerato e sconosciuto Devil May Cry. Già ai tempi, pur essendo un bambino di dieci anni, conoscevo Capcom ed ero abituato al fatto che vedere il nome della software house fosse sinonimo di qualità (proprio come Konami, prima che… insomma, ci siamo capiti). Nonostante il mio caro fratello ai tempi comprasse le riviste di settore, tenendoci così informati, non avevamo mai avuto modo di leggere nulla in merito a questo titolo. Fu dunque una mera scoperta alla vecchia maniera: “proviamo ‘sto gioco, chissà com’è”, ed ecco che Devil May Cry rapisce subito il mio cuore. Da bamboccio lo definivo il gioco con le pistole e la spada, caratteristica che oggi può far sorridere, ma ai tempi fu proprio quella ad esaltarci tantissimo. All’epoca non era certo ordinaria amministrazione ritrovarsi tra le mani un’opera del genere, specie poi con quella brillantezza ludica. Sia io che mio fratello ne eravamo rimasti affascinati, solo che lui poi non si è più interessato alla serie, io invece col tempo ne sono diventato un gran estimatore, tanto da risultare tra le mie preferite di sempre, con il suo capostipite che rientra tra i videogiochi che più porto nel cuore. Ci sono voluti però solamente 13 (tredici) anni per vivere l’esperienza come si deve, e ora vi spiego perché: con la PlayStation 2 in prestito non riuscimmo a giocare tutto Devil May Cry; eravamo arrivati giusto fino al primo scontro con Nelo Angelo. Dopodiché, restituita la console, ciao ciao Dante. Poco tempo dopo, i miei genitori mi regalano per il Natale 2003 la console tanto ambita (anche se il mio sogno era il GameCube), ma quando cercai di recuperare il titolo che mi aveva enormemente affascinato l’anno prima mi imbattei nel 2. Vuoi la fame per un prodotto del genere, vuoi che ero più piccolo e certi aspetti negativi non fui capace a coglierli, e fu così che tutto sommato mi piacque, ma lasciandomi comunque una sensazione di amaro in bocca; “non è il primo, però”, mi dicevo. Anni dopo passai pure per il terzo capitolo, decisamente più bello dell’orrido Devil May Cry 2, ma anche in quel caso la sensazione fu la medesima: eh, ma il primo era il primo. Aveva tutt’altra atmosfera”. Dovrei poi raccontarvi di come la PS2 si ruppe, per poi recuperare la versione Slim che a sua volta pure passò a miglior vita, finché non acquistai nel 2011 l’ultimo modello di Slim che anni dopo mi diede comunque problemi (sì, ho avuto sempre sfiga con questa console). Avvicinatomi al collezionismo e cominciando ad acquistare di tutto e di più in ambito retrogaming, recupero la trilogia di Devil May Cry in originale. Ero felicissimo; potevo finalmente portare a compimento l’avventura iniziata quasi dieci anni prima… ma qualcosa mi fece esimere dal farlo. Cosa? Vi chiederete.

Ebbene sì, quella maledetta versione PAL. Orrenda oltremodo a causa delle sue bande nere, la mappatura dei pulsanti ridicola, tutto schiacciato, i 50Hz e il suo andare a rallentatore. A rallentatore… Devil May Cry. È inammissibile! Giunto al cospetto di Griffon, non mi restò altro da fare che interrompere la run. Fu diversi anni dopo che decisi così di scaricare illegalmente la versione giapponese del gioco, poiché per forza di cose la più fedele e pura. E amore fu, tanto che durante il mio viaggio in Giappone recuperai tutta la trilogia in versione nipponica, placando la mia sete di Devil May Cry. Tutto questo per farvi giusto capire l’impatto che ebbe su di me e quanto fosse innovativo all’epoca. D’altronde ciò che me lo fa preferire a tutti gli altri è proprio l’essere un ibrido tra action hack ‘n’ slash e survival horror. Hideki Kamiya in fondo stava ideando Resident Evil 4, finché non si rese conto che ciò che stava realizzando si stesse allontanando sempre più dalla serie creata da Mikami (e menomale); così si decise di puntare tutto su una nuova IP. Proprio questo spirito è per me l’essenza di Devil May Cry, che da quando è passato in mano a Hideaki Itsuno lo ha inevitabilmente perso. Ha indubbiamente fatto grandi cose anche lui, ma l’opera rimarrà per sempre una creatura di Kamiya e ciò che era riuscito ad imprimere nel primo episodio non lo ha replicato nemmeno con Bayonetta. Devil May Cry, così come il primo God of War e il Ninja Gaiden (ve lo ricordate?) di Tomonobu Itagaki, erano proprio esponenti del genere arricchiti da altri stili ed influenze; più completi ed unici come videogiochi puri, ma tutti e tre si sono evoluti in altro (tralasciando poi l’ultima iterazione di God of War che è ancora un’altra cosa). Francamente non ne ho mai capito il motivo, in quanto c’era intrisa una magia mai più riproposta, né tantomeno eguagliata. Di sicuro i Devil May Cry arrivati dopo (escludendo il 2) hanno osato di più in molteplici aspetti, ciononostante non ho mai avvertito quella sensazione di completezza data da un’opera che sa appagare e coinvolgere in maniera unica e certosina. Il primo Devil May Cry “vince” per l’atmosfera, per l’ambientazione, lo stile, il ritmo perfetto e, soprattutto, per il game design semplicemente magistrale. Chiaro sia qualcosa che cambia da persona a persona, ma questo è uno di quei prodotti seminali che oltre ad aver ridefinito un genere, ancora oggi, nonostante gli anni sul groppone e il fatto di essere il primo esponente di una categoria di giochi, è capace di dire la sua senza annoiare mai, tanto che io lo rimetto su perlomeno una volta l’anno. E che gli vuoi dire al capolavoro di Kamiya-san? Bene, noto che il mio punto di vista ha preso una piega à la #ricordivideoludici, ma vista la ricorrenza non potevo non raccontarvi questa esperienza; tutto sommato aiuta pure a comprenderlo meglio, secondo me (o almeno me lo auguro). Sta di fatto che il primo Devil May Cry è e sarà per sempre una pietra miliare della storia dei videogiochi, e averlo scoperto all’epoca insieme a mio fratello che ora non c’è più rende questo ricordo ancora più speciale.

Devil May Cry
Devil May Cry – Collezione di Ismaele Mosca.

Punto di vista di Matteo: Devil May Cry 3

“Jackpot!”

Devil May Cry 3 è il mio titolo preferito della saga, nonché una delle mie opere preferite di sempre. Uno di quei titoli – per farvi capire meglio – che sta sul podio dei videogiochi che più amo e che è impossibile far scendere di posto. Di Devil May Cry 3 mi fa impazzire davvero tutto: la storia, semplice ma oltremodo efficace e piena di momenti ben costruiti, né troppo brevi né troppo lunghi, scritti in maniera ben oculata e precisa.

La colonna sonora metal che accompagna lo scorrere delle 20 missioni, tra esplorazione, cutscene e soprattutto combattimenti; tanti combattimenti che hanno dalla loro parte uno dei combat system meglio costruiti di sempre, quello degli “stili” di Dante: Swordmaster, Royalguard, Gunslinger, Trickster, Quicksilver (e se vogliamo anche il Twins Style); tutti unici e divertenti da giocare ed approfondire nella loro complessità.

Devil May Cry 3 tocca tematiche a me molto care: famiglia, fraternità, amore, crescita, consapevolezza, lo sbaglio… un insieme di cose che mi hanno sempre dato la sensazione che il gioco mi stesse parlando; come se mi dicesse “ti capisco, anche io vivo questo”… puntualmente, ogni volta che finisco una nuova partita mi fermo, preso dall’insieme di emozioni, ad ascoltare la ending song: “Devils Never Cry”, ad oggi uno dei brani più belli che abbia mai sentito e non solo nel panorama videoludico.

Quello che ha fatto Devil May Cry 3 nella saga è unico. Non che gli altri titoli non siano riusciti (a parte Devil May Cry 2 – lui è insalvabile), ma il terzo capitolo ha per me un guizzo in più; lo sento il più “umano” tra tutti, quello più intento a voler lasciare qualcosa oltre il divertimento e qualche momento emozionante a noi giocatori.

Potrei continuare ad approfondire di più il perché amo così tanto Devil May Cry 3, ma magari avremo occasione di fare una chiacchierata più articolata in un altro momento. Intanto vi ho già dato un assaggio di quello che per me è quest’opera immortale.

Devil May Cry
Devil May Cry – Collezione di Matteo Benelli.
Devil May Cry
Devil May Cry – Repliche di Yamato e Rebellion di Matteo Benelli, le rispettive spade di Vergil e Dante.

Risposte ai quesiti secondo noi più interessanti da trattare

Qui di seguito sono racchiusi i punti essenziali di Devil May Cry, attraverso domande a cui abbiamo cercato di rispondere nella maniera più obiettiva possibile, proprio per tirar fuori argomentazioni che vadano oltre la nostra preferenza personale e riconoscere i punti forza di entrambe le opere.

Quale tra i due capitoli di Devil May Cry ha le atmosfere più belle e significative?

Ismaele: qui la mia risposta è ovvia, senza nemmeno pensarci troppo. Il capitolo dalle atmosfere migliori e con la direzione artistica più significativa è senza dubbio il primo Devil May Cry. L’arrivo al castello di Mallet Island fu un momento potentissimo, anche perché all’epoca non si era ancora abituati a qualcosa del genere. Muoversi al suo interno era pura goduria, grazie ad un fascino che nessun altro episodio della saga ha saputo replicare (terzo compreso). Il primo Devil May Cry è quello che rimarca più di tutti lo stile gotico, sposandosi alla perfezione con la storia che vuole raccontare e i momenti cupi che mette in scena. Gli esterni sono favolosi, presentando persino alcuni guizzi come il percorso avvolto dalla nebbia, e il fascino di questo episodio viene impreziosito grazie al suo essere una via di mezzo tra un action hack ‘n’ slash ed un survival horror. Spettacolare poi il ritorno di notte al castello che altera tutto, con quell’atmosfera tetra da far accapponare la pelle e nuovi nemici pronti a far secco il nostro Dante. Sotto questo punto di vista non c’è proprio partita, ma per nessun altro esponente del genere.

Matteo: le atmosfere della saga Devil May Cry sono per lo più oscure, cupe e spesso tendenti al gotico. Tra i due titoli a confronto trovo che il primissimo Devil May Cry abbia l’atmosfera migliore; molto più suggestiva, gotica ed ispirata rispetto quella di Devil May Cry 3 che, impostando la maggior parte dell’azione all’interno della Temen-ni-gru, finisce per presentare una certa monotonia nelle ambientazioni – che comunque hanno la loro varietà e fascino, eh.

Tuttavia il castello di Mallet Island, la parte esterna dove affronti nemici iconici come Griffon, le ambientazioni rivisitate di notte che cambiano pure la fauna dei nemici presenti, rendono più coinvolgente il mondo del primo Devil May Cry rispetto quello di Devil May Cry 3… sarà anche che il capostipite della serie nasce come costola di Resident Evil 4 ed ha assorbito decisamente delle influenze da esso (e soprattutto dalla sua beta) – sì, parlo con te castello di Salazar!

Il level design migliore e perché

I: anche in questo caso propendo per il primo Devil May Cry. Ho sempre trovato più articolato e meglio strutturato il castello di Mallet Island e i suoi esterni piuttosto che la Temen-ni-gru del terzo. Le varie intersezioni, i segmenti e tutto ciò che compone il level design del primo Devil May Cry denota una cura inarrivabile da parte di Capcom, tanto da garantire un modello di esplorazione dannatamente più efficace e coinvolgente. In più, Dante si aggrappa ed esegue lunghi salti laddove previsto per rendere più impattante il platforming. Un aspetto ahimè mai più ritrovato in nessun altro capitolo della saga.

M: sul level design in realtà non riesco ad esprimere un giudizio mirato verso un titolo piuttosto che l’altro. Entrambi hanno infatti un sacco di backtracking (tipico della saga) e l’intersecazione degli oggetti – apparentemente inutili – che ottieni nelle varie missioni, per poi scoprire essere la chiave per proseguire, è svolta in maniera egregia in entrambi. Forse, però, Devil May Cry 3 ha quel guizzo in più per la velocità con la quale puoi spostarti all’interno della mappa. Il primo lo trovo mio malgrado un po’ troppo “legnoso” nell’esplorazione; il terzo è decisamente più fluido, ma d’altronde ha avuto dalla sua quattro anni in più di studio.

Quale tra i due Devil May Cry ha il combat system più bello, profondo, sfaccettato e… stylish?

I: qui la mia risposta non sarà così scontata, poiché ci sono a mio avviso alcuni elementi da tenere in considerazione. Tralasciando la mia preferenza personale verso il combat system del primo Devil May Cry, non posso non riconoscere la superiorità del terzo; più profondo, tecnico e stratificato anche grazie al numero superiore di armi a nostra disposizione. Eppure io non ho mai apprezzato particolarmente i quattro stili, specie per come gestiti nel 3. Già ai tempi della sua uscita lamentavo l’impossibilità di poterli switchare in tempo reale, caratteristica guarda caso poi implementata nei seguiti, ma soprattutto in Devil May Cry 3 stesso nella sua versione Nintendo Switch. Avendolo provato in prima persona posso finalmente affermare dopo diciassette anni che doveva essere esattamente così sin dalle origini. Detto ciò, alla domanda rispondo che il terzo ha il miglior combat system, capace di esaltare anche il meno avvezzo al genere una volta padroneggiato a dovere, con possibilità di effettuare combo mostruose, riempiendo la barra dello stile con classe; ed è soprattutto nelle battaglie contro i boss che sfoggia tutte le sue potenzialità. Eppure, alcune caratteristiche e abilità del primo rimangono una spanna sopra, non solo per come si intercambiano in maniera efficace Alastor e Ifrit durante gli scontri, ma anche per il Devil Trigger stesso a mio avviso decisamente più interessante. Ho sempre trovato nella sua semplicità più riuscito il combat system del primo, tuttavia non è stata evoluta quella formula (ancora embrionale) a favore di un’altra che pur risultando migliore e maggiormente stratificata e profonda (che con il 5 ha trovato la sua massima espressione), non ho mai gradito troppo. Anche qui si vede la differenza tra l’estro e lo stile di Hideki Kamiya e quello di Hideaki Itsuno. E poi Alastor è Alastor, con tutto il bene che si può volere alla Rebellion.

M: entro a bomba dicendo che… c’è poco da dire: Devil May Cry 3 ha un gameplay incredibile, nettamente superiore – in questo caso – a quello del primo Devil May Cry (ma anche rispetto agli altri titoli della serie… forse forse si potrebbe discutere sul 5, ma magari approfondiremo in futuro). Il sistema degli stili livellabili di Dante, la varietà di abilità ed armi sbloccabili, la velocità e la frenesia del combattimento sono semplicemente eccezionali ed estremamente appaganti. Il combat system di questo capitolo è talmente curato da essere da solo un motivo più che valido per recuperarlo o per farsi una nuova run, cercando di essere il più SSStylish!!! possibile!

Miglior Enemy design e boss fight

I: se si parla di puro stile, il primo capitolo vince a mani basse in quanto vanta nel suo immaginario nemici di gran lunga più ispirati rispetto a quelli presenti nel terzo che ho sempre trovato sottotono, anche negli approcci in combattimento. Discorso diverso con le boss fight dove Devil May Cry 3 dà invece il meglio di sé, proponendo battaglie di gran lunga più tecniche, difficili, appaganti e complesse (nonché più elaborate), ma anche e soprattutto memorabili. Certo, non che quelle del primo non lo siano, ma nel terzo episodio sono stati raggiunti picchi di qualità strabilianti, tanto da ritrovarci con alcuni dei migliori boss mai concepiti in un action hack ‘n’ slash, in quanto il gioco riesce a fondere stile, carisma, regia, tecnicismo e adrenalina con una naturalezza pazzesca. Porterò sempre nel cuore gli scontri con Nelo Angelo del primo Devil May Cry, così come la battaglia finale che vanta una sezione da shoot’em up davvero geniale; ma, nonostante tutto, i traguardi raggiunti da Dante’s Awakening restano fuori scala.

M: Qua invece la situazione è un po’ diversa. Devil May Cry 3 ha decisamente delle boss fight più soddisfacenti ed ispirate. Il primo pecca di ripetitività: Phantom, Griffon, Nightmare… si incontrano un po’ troppo spesso; anche Nelo Angelo in realtà lo affronti tre volte, però ogni scontro è diverso e stimolante. Il primo poi… mamma mia che bomba! Ma passando al terzo, invece, le boss fight sono tutte varie ed entusiasmanti; forse giusto il Gigapede è quella meno riuscita; le altre invece sono incredibili… specie quelle con Vergil; santo cielo… che bellezza: uno spettacolo per gli occhi, un dolore per il cuore ed un orgasmo per il pad, sensazionali! Andando invece sull’enemy design e focalizzandoci un po’ più sui nemici base, trovo comunque che Devil May Cry 3 abbia quel qualcosa in più. Sarà per il gameplay più appagante, per i danni un po’ più contenuti rispetto quelli del primo capitolo, ma mi sento più soddisfatto nell’affrontare i nemici qui piuttosto che nel primo. Anche se c’è da dire che in DMC3 ce ne sono molteplici, ma la rosa dei loro moveset non varia poi così tanto e questo fa storcere un po’ il naso. Menzione d’onore al primo capitolo per i Frosts… bellissimi, e davvero azzeccata l’idea di proporti un nemico lupo quando ti trovi di notte al chiaro di luna. Non che non si sia mai visto eh, ma decisamente più d’impatto e riusciti rispetto i Soul Eater del 3, ad esempio, che hanno una cutscene dedicata a loro per poi dimostrarsi poco ispirati nel design tanto quanto nel gameplay.

Dove i personaggi e la storia sono più incisivi?

I: in questo caso mi verrebbe da dire parità, poiché i due giochi si vanno proprio a controbilanciare a vicenda ed eccellono su aspetti differenti. Il primo Devil May Cry riesce ad avere un equilibrio migliore tra tamarraggine e serietà, proponendo un Dante a mio avviso più sfaccettato e profondo (vogliamo proprio parlare della scena con Trish morente e Dante in lacrime ed incazzato al cospetto di Mundus?) tanto che lo preferisco al terzo anche per questo motivo. Dall’altro lato, il rapporto fraterno così come viene enfatizzato nel 3 non ha eguali nella serie, offrendo anch’esso alcuni momenti iconici. Entrambi i titoli trattano tematiche bellissime e toccanti, nonostante la semplicità e la narrazione fuori dalle righe tipica del genere. Da un lato abbiamo il primo Devil May Cry con un racconto più incentrato sull’alone di mistero, la solitudine e la scoperta del passato, senza tralasciare scene esilaranti e una regia raffinata, mentre Dante’s Awakening mette in ballo più personaggi ed una storia di rivalsa con in primo piano l’amore e odio tra i due fratelli ed offre invece una regia molto più elettrizzante. Forse preferisco l’equilibrio del primo a favore dell’esaltazione un pelo troppo eccessiva del terzo, decisamente più tamarro e che solo verso la fine ritorna più sulle note del capostipite. Di cuore voterei il primo, ma volendo essere più imparziale non decreto un vincitore.

M: Si sente spesso dire: “eh, dai, ma è Devil May Cry. Che personaggi e che trama ti vuoi aspettare? È un gioco con protagonista un mezzo demone immortale che fa cose come uccidere con una motocicletta due demoni simil-angelici!”. Verissimo, tuttavia la forte componente trash della saga non preclude il fatto che abbia dei guizzi nella scrittura: il rapporto tra Dante e Vergil, tra Dante e Trish, i drammi familiari dei gemelli demoniaci… sono solo alcuni dei bellissimi momenti della serie. Tra i due titoli ho un debole decisamente più forte per Devil May Cry 3: tocca corde a me molto vicine come quelle del rapporto fraterno conflittuale, dell’amore non espresso, della crescita, del non voler accettare la realtà delle cose, del consapevolizzarsi dei propri sbagli… no, non sto piangendo. È solo la pioggia… i demoni non piangono mai.

Qual è la miglior soundtrack tra i due Devil May Cry?

I: anche qui è una bella sfida, ma al metal bruto e potente del terzo preferisco le sonorità rock elettroniche del primo con le sue tracce di pura atmosfera ad enfatizzare l’esplorazione. Trovo il mix più riuscito e con una varietà musicale maggiore, pur apprezzando tantissimo le tracce di Dante’s Awakening – con le quali io per primo ci vado a nozze – e gasandomi a manetta durante i vari combattimenti (meravigliosa quella della battaglia introduttiva), temi come “Seeds of Love” non si battono. Sì tratta di due colonne sonore ottime, ma quella del capostipite ha la marcia in più che fa la differenza e regala il connubio musicale perfetto tra l’azione adrenalinica pura e il mero pathos, risaltando ogni attimo suggestivo dell’opera.

M: Sono qua su Push Button da poco meno di un anno, ormai, ma penso si sia capito: la colonna sonora è per me uno degli elementi più importanti all’interno di un videogioco (e se invece non si fosse capito, recuperate QUI il mio articolo su Akira Yamaoka e QUI quello su Metal Gear Rising: Revengeance). Entrambe le opere a confronto hanno una soundtrack incredibile: Devil May Cry presenta delle sonorità prevalentemente elettroniche, rock e dark ambient; queste ultime calzano molto sullo stile di Resident Evil, in particolare Code Veronica (prendete ad esempio “The Suspended Doll”). Devil May Cry 3 è invece più caciarone, immergendosi pienamente in un mare di metal che in un hack ‘n’ slash non guasta mai, non facendosi comunque mancare delle tracce più “opprimenti” durante i momenti di esplorazione. Mi trovo di fronte ad un bivio, perché brani come “Eva’s Theme” o “Seeds of Love” del primo capitolo sono veramente superlativi; nel terzo i temi di battaglia sono però davvero tutti azzeccatissimi ed in più c’è “Devils Never Cry”, un brano incredibile diventato icona della serie… è davvero difficile scegliere, ma proprio per quella presa emotiva più forte che citavo nel paragrafo precedente, decreto Devil May Cry 3 come il titolo con la migliore soundtrack tra i due, rimarcando però il fatto che anche il primo abbia i suoi capolavori musicali.

Conclusioni: cos’è effettivamente per noi Devil May Cry

Giunti alla fine, ci sembrava giusto scrivere il paragrafo conclusivo di questo articolo proprio a quattro mani, per spiegare cos’è per noi la serie Devil May Cry. Nelle community capita spesso di trovare opinioni contrastanti – e di per sé non è un male –, peccato però che la maggior parte delle volte scadano nella lite e nel voler soverchiare l’altro con la propria opinione: “Ah il 3 è meglio!” “No il primo è meglio, scemo!” [di solito non sono così raffinati – NdA Matteo]. Oggi abbiamo messo in confronto i nostri due capitoli prediletti proprio per farvi capire che, nonostante le divergenze, il filo rosso che ci lega è l’amore nei confronti di questa saga. Una saga che ha saputo regalarci momenti di gioia e divertimento, ma anche svariate emozioni: il dialogo tra Dante e Trish dopo il salvataggio da Nightmare; la rivelazione di Nelo Angelo; le lacrime di Dante [chi sa, capirà; chi non sa, si attacca al cazzo – NdA Isma]; il risveglio del lato demoniaco del protagonista; la battaglia finale con Vergil e l’accettazione dei suoi errori; il finale sotto la pioggia con Dante e Lady ed in sottofondo “Devils Never Cry”; il primo scontro tra Dante e Nero; la boss fight con Credo; Nero che si riunisce finalmente con Kyrie [Chi sa, capirà; chi non sa… KYRIEEEE – NdA Isma e Matteo]; l’approfondimento sul passato dei gemelli demoniaci; Il ritorno dell’Alpha e l’Omega: Vergil; lo scontro finale tra Dante, Vergil e Nero con il Devil Trigger risvegliato (tutto fanservice, ma che figata!); eh sì, anche l’elicottero infestato… perché in fondo [molto in fondo – NdA Matteo] pure Devil May Cry 2 ci ha lasciato qualcosa. Momenti che in un modo o nell’altro ci hanno particolarmente segnato, tanto da ricordarli pure nel quotidiano. Perché Devil May Cry è molto più di un semplice action hack ‘n’ slash. E scusate se è poco.

«Are you crying?»
«It’s only the rain.»
«The rain already stopped…»
«Devils never cry.»

«Ok, let’s get it over with in 10 minutes, can’t let a single one of those suckers live.»
«5 minutes.»
«Heh, more than enough.»

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Ismaele Mosca e Matteo Benelli

Account condiviso da Ismaele Mosca e Matteo Benelli per gli articoli scritti a quattro mani.