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Kingdom Hearts: il mio primo vero gioco su PlayStation 2 – #ricordivideoludici

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Col cadere dell’anniversario di Kingdom Hearts, riaffiorano i miei ricordi

Lo ricordo ancora come se fosse ieri (a distanza di quasi vent’anni) quel Kingdom Hearts di Squaresoft  in collaborazione con Disney, primo gioco che mi feci regalare dai miei genitori per la neo entrata in casa, PlayStation 2. Lo desideravo tanto, davvero tanto, quel gioco che racchiudeva praticamente tutta la mia infanzia fatta di Final Fantasy e fumetti di Topolino. Non so come riuscii a convincerli (o forse si), ma so ancora con quale gioia accolsi l’arrivo di quel titolo tra le mie mani.

Mi si stringe il cuore se ci ripenso.

Ci trovavamo in un grande centro commerciale di Cosenza, stavamo facendo una sosta lì, prima di raggiungere il paesello nativo di mia madre sito ai piedi della Sila (Longobucco) con destinazione vacanza: casa dei nonni. E fui lì che lo vidi, dietro una vetrina, solo, accanto al primo Devil May Cry che in quel momento, sinceramente, anche “chissene” del capolavoro Capcom. Da questo preciso istante un vuoto bianco, come una luce, per poi tornare al commesso del reparto intento ad aprire la vetrina e a consegnarmi, di fatto, l’ultima copia rimasta. Inutile dire che la voglia di provarlo subito fosse evidente e la si percepiva da ogni singola smorfia che sbucava fuori dalla mia faccia. Fortunatamente stavo portandomi con me il mio caro monolite nero, e non dovetti aspettare la fine di queste brevi vacanze per poterlo provare.

Una volta giunti a Longobucco, quindi, dopo i classici saluti di rito che a pensarci ora (dopo la scomparsa dei miei nonni), vorrei rivivere in maniera meno frenetica e assaporare lentamente, mi fiondai subito nella vecchia stanzetta di mia madre e mia zia e collegai la console al piccolo tubo catodico lì presente.

Ed eccola, la magia…

Prima i due loghi a me tanto cari, poi quelle fievoli note composte da Yoko Shimomura che aprivano le danze a quella che sarebbe stata una delle avventure più incredibili di sempre. Non potete capire i pianti. Dopo circa un’ora di gioco ancora non ci stavo capendo nulla di quello che mi stava capitando, ma era tutto troppo bello. Tidus, Wakka, Selphie erano pronti ad accogliermi su quella spiaggia sita chissà dove, con Kairi e Rikku intenti a guidarmi verso un fato ignoto ed avverso, sulle melodie di “Hikari”. Ad un certo punto sentii dal piano di sopra chiamarmi: era pronto il pranzo in tavola e non sapevo davvero cosa fare. Perché no, non possedevo ancora una Memory Card e quindi non potevo salvare la partita e, perché no, non volevo chiudere tutto e poi dover ricominciare daccapo, senza avere inoltre la possibilità di poter saltare i filmati già visti (all’epoca non era previsto). Così presi la decisione più coraggiosa per chi di hardware non ne capiva molto (ieri come oggi, eh): lasciare la console accesa per chissà quante ore col rischio di fonderla. Per carità, con la prima PlayStation e con il Game Boy feci decisamente peggio, ma sapete com’è, non si sa mai.

Ad ogni modo dopo aver preso questa decisione, post pranzo ritornai alle avventure di Sora, Pippo e Paperino giocando fino alla sera e spingendomi fino al mondo di Hercules e alla battaglia con Cloud. Ero arrivato lì dopo aver visitato Traverse Town e il mondo di Tarzan, nonché aver stretto improbabili alleanze e nuove amicizie con Squall, Jane, Aerith, Cip e Ciop… Insomma, è palpabile l’emozione che sto provando oppure no? Perché io ragazzi sto a fare una certa fatica nel trattenermi.

Scrivo quasi di getto, perché Kingdom Hearts sarà sempre l’unico e solo gioco a farmi tornare realmente bambino. A farmi piangere per una serie di motivi diversi. A scaldarmi il cuore come nessun altro gioco potrebbe mai. Non potete immaginare (una volta terminata quella breve vacanza), quante volte lo ricominciai e quante volte rividi quelle scene prima di potermi permettere una Memory Card e poter finalmente proseguire l’avventura.

È quell’insieme di cose, situazioni e persone con cui ho condiviso quest’esperienza a rendere tutto così speciale.

Com’è che li chiamate voi?

Ah si…

LEGAMI.

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Gennaro Schiavelli

“Non vuoi niente. Non credi in niente. Il futuro è il tempo che ti rimane prima di finire un videogioco. Non credi nella vita dopo la morte e hai poca fiducia nella vita in generale. L’unica cosa che sai per certo è che non vuoi le stesse cose dei tuoi genitori.”