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Haunting Ground – #ricordivideoludici

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C’è di certo che una volta, Capcom, quando si trattava di tirare fuori qualche titolo a tema horror sapeva proprio sorprenderti, come c’è di certo che io, eccezion fatta per i vari Resident Evil e qualche Silent Hill (con cui avevo avuto il piacere di trascorre inquiete ore), non è che fossi proprio avvezzo a quel genere all’epoca, eppure… Eppure, nonostante la mia poca cultura in merito ho saputo sin dal primo istante riconoscere la caratura di Haunting Ground ed innamorarmene: era davvero un gran bel gioco passato – ahimè – troppo in sordina. Un horror di stampo classico, indubbiamente, ma che ha saputo trasportarmi verso il suo finale tra stati d’ansia e grattacapi, come non succedeva da un po’, e che a seguito di quanto appena visto mi aveva poi spinto a recuperare altre opere a tema come: Fatal Frame, Forbidden Siren, Clock Tower, etc. (ma questa è un’altra storia).

Mi ero dannatamente perso nello sguardo spaventato dell’appena maggiorenne Fiona Belli, coinvolta in un incidente stradale quando stava viaggiando per andare a far visita alla sua famiglia e risvegliatasi (dopo aver perso i sensi) rinchiusa in una gabbia all’interno dei sotterranei di uno strano castello. Strano castello in cui (una volta liberatasi) muovevo timidi passi; mai mi sarei aspettato di trovarvi al suo interno varietà così amare. Così come non mi aspettavo di stringere una strana alleanza con un cane pastore dal manto bianco che addirittura si sarebbe rivelato utile ai fini del gameplay. Cazzo, che storia – mi ripetevo.

Haunting Ground

Come dicevo poc’anzi, quindi, non ero proprio avvezzo a questo genere, e trovarmi di fronte a qualcosa di talmente differente rispetto a quanto fin lì giocato, mi ha fatto specie. E parecchio. Perché magari Haunting Ground (o Demento, nella terra del Sol Levante) non sarà stato nemmeno il primo titolo ad aver apportato tali meccaniche all’interno di un gioco, eppure per me rappresentavano delle novità. Novità folgoranti che mi hanno costretto a cambiare sin dalle prime battute l’approccio e a studiare come non mai l’ambiente circostante. Effettivamente ero solito fare sempre incetta di nemici attraverso bocche da fuoco e non in altri titoli, mentre qui principalmente l’obiettivo era quella di stordire i tre nemici (o forse erano di più se la memoria non m’inganna?), per poi scappare e trovare un nascondiglio sicuro in cui attendere. Attendere che la via fosse libera e sicura, per ritentare la fuga.

La fuga da una prigionia mentale, più che corporea, che ancora oggi riecheggia nei miei più antichi ricordi e che fatica a dimenticare l’orrenda faccia di Debilitas.

Un castello da cui non sono mai realmente fuggito.

Una voce.

Poi l’eco.

Demento.

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Gennaro Schiavelli

“Non vuoi niente. Non credi in niente. Il futuro è il tempo che ti rimane prima di finire un videogioco. Non credi nella vita dopo la morte e hai poca fiducia nella vita in generale. L’unica cosa che sai per certo è che non vuoi le stesse cose dei tuoi genitori.”