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Call of Duty: Black Ops Cold War – Recensione: alle armi, compagni

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Immancabile come i parenti alle feste, la serie di Call of Duty sbarca su console current e next-gen con Call of Duty: Black Ops Cold War, e vede nuovamente al timone il team di Treyarch. Gli autori di Black Ops questa volta hanno potuto contare sull’aiuto di Raven Software e Sledgehammer, i quali hanno contribuito nella realizzazione di un capitolo che rievoca gli antichi fasti della saga, introducendo una serie di novità intente a evolvere la tipica formula che contraddistingue il brand, lavorando soprattutto alla ricostruzione del franchise con un nuovo soft-reboot. Riscrivere la storia, dunque, è la direzione assunta da Activision a partire da Call of Duty: Modern Warfare, con l’obiettivo di richiamare a sé una community allontanatasi a causa delle ingenuità commesse in questa generazione ormai conclusa, e Black Ops Cold War è un calderone di nostalgia, ma anche di evoluzione.

Perché, dopotutto, molti giocatori si sono affacciati a Call of Duty con il primo capitolo di Black Ops, fermando gli attentati terroristici di Dragovich attraverso la follia di Mason vissuta in prima persona e in compagnia di Woods, mentre la Guerra Fredda agiva sulla situazione politica mondiale con il rischio di un nuovo conflitto nucleare. Parliamo di un periodo storico ormai saturo di iterazioni videoludiche e saper catturare l’interesse attraverso un nuovo racconto ad esso dedicato non è affatto semplice, per questo noi di Push Button, grazie ad un codice review gentilmente fornitoci da Activision, abbiamo imbracciato nuovamente le armi ed affrontato lo scontro ideologico tra Capitalismo e Comunismo, attraverso una formula alquanto allettante. Non ci resta dunque che entrare nel vivo della recensione di Call of Duty: Black Ops Cold War.

Call of Duty Black Ops Cold War

Call of Duty Black Ops Cold War Recensione: Echi di una guerra fredda

Il franchise di Call of Duty è sempre stato al centro dell’attenzione dei media per via di episodi piuttosto discutibili: dall’Autostrada della morte in Modern Warfare oppure all’attentato all’aeroporto di Mosca in Modern Warfare 2, e in tempi come questi, dove la voce della community è più forte di quella degli sviluppatori, sviluppare una storia di finzione basata sulla nostra realtà diventa sempre più rischioso. Call of Duty: Black Ops Cold War ha rischiato di inciampare nel suo stesso tranello, e fortunatamente il tipico stereotipo russo è stato messo da parte, ma non del tutto. Perché in fondo torniamo ai soliti ruoli: gli americani rappresentano il bene, seppur con diversi scheletri nell’armadio, mentre i russi continuano ad incarnare il ruolo del cattivo, coloro che vogliono ricostruire la società ed eliminare la minaccia capitalista. Sorpassato dunque questo “more of the same” che caratterizza il franchise di Activision, la campagna in giocatore singolo è stata lustrata a dovere nelle fucine di Treyarch, dando un tocco nuovo all’esperienza ludo-narrativa di questo ennesimo capitolo. Troviamo finalmente una struttura diversa dalla classica selezione dei livelli, con tanto di hub di gioco dove è possibile interagire con i comprimari, da Adler all’agente Park, e questo rifugio cambierà mano a mano che avanzerete nella breve campagna, facendo apparire anche Woods e Mason, con i quali potrete interagire. Ebbene sì, nonostante Mason sia giocabile in alcune missioni, il ruolo da protagonista verrà assunto da una recluta di cui potremo decidere alcune caratteristiche, come la sua carriera tra CIA, MI6 o esercito militare, il nome e cognome e dei tratti caratteriali che attiveranno dei bonus passivi. Passata questa trafila, la caccia dell’agente russo noto come Perseus si svolge in un’indagine che via via si completerà grazie alla raccolta di prove, indizi, i quali ci condurranno verso l’obiettivo, ed eventuale conclusione della modalità storia. Tuttavia, separate dal contesto narrativo – ma neanche tanto – vi sono una manciata di missioni secondarie, sbloccabili grazie al risolvimento di alcuni enigmi purtroppo marginali, poiché questi ultimi possono soltanto ridurre la percentuale di rischio di fallimento e niente più. Un potenziale decisamente sprecato, con l’inserimento di più missioni secondarie o uno sfruttamento migliore avrebbe potuto giovare alla varietà ludica della modalità, ed ampliare la narrazione dando maggior rilievo ai comprimari che risultano essere delle ottime spalle.

Eppure, la campagna di questo Call of Duty ci ha sorpresi: da un lato troviamo il fattore nostalgico, rievocato dai molteplici riferimenti agli eventi del primo Black Ops, facendoci addirittura tornare in uno scenario già esplorato in precedenza, dall’altro vi è l’intraprendenza narrativa del team di sviluppo. Questo è dovuto perlopiù dalla discreta alterazione degli eventi dettata dalle scelte del giocatore, il quale avrà la possibilità di decidere le sorti del conflitto nei momenti chiave della narrazione. La moralità del nostro protagonista verrà messa a dura prova nel corso della campagna, e il modo con cui il titolo agisce psicologicamente sul giocatore ci ricorda i fatidici lavaggi del cervello simbolo del dietro le  quinte di entrambe le fazioni. L’ideologia viene trasposta in maniera efficace per merito della caratterizzazione dei personaggi e della narrazione degli eventi che ribadiscono più volte come la Guerra Fredda fu un conflitto ben differente rispetto alle grandi guerre che hanno segnato la storia dell’umanità. Qui il tema caldo degli agenti dormienti trasporta un racconto fatto d’azione, esplosioni e cinematografia verso l’orizzonte dello spionaggio, eccedendo verso le battute finali in un susseguirsi di scelte narrative capaci di confondere il giocatore, immergendolo così in un vero e proprio viaggio mentale che raramente abbiamo visto in una saga come quella di Call of Duty. Eppure, rispetto al reboot di Modern Warfare, è stato commesso qualche passo indietro: nonostante la maturazione assimilata dal suo predecessore, la campagna pecca di crudezza nelle scene più incisive della storia,  mancando nel tentativo di colpire il giocatore tramite immagini forti che avrebbero potuto creare un’atmosfera più impattante per una trama decisamente articolata, a differenza di tanti altri capitoli della saga.

Call of Duty Black Ops Cold War

Bentornato vecchio feeling!

Un fattore che abbiamo notato sin da subito, è il feeling avvertito col gameplay di Call of Duty: Black Ops Cold War. Da giocatore veterano della saga, posso definirmi soddisfatto del ritorno al classico gameplay di Black Ops, con ovviamente tutte le differenze dettate dall’evoluzione degli elementi tecnici del franchise. Tornare al reale gameplay della golden age è impossibile, tuttavia riabbracciare qualcosa che vi si avvicini vagamente non è neppure un’utopia. Il feedback delle armi è a conti fatti vicinissimo al capostipite della serie sviluppata da Treyarch, con rinculi ed oscillazioni delle armi veramente ridotti. Ogni arma all’apparenza sembrerà leggera ed è dunque difficile mancare il bersaglio se non a causa di qualche imprecisione sul momento, così come la rigidità e pesantezza dei fucili di precisione si avvertirà nel momento in cui si mira, estremamente differente rispetto alla leggerezza con cui si possono utilizzare questi fucili nelle iterazioni realizzate da Infinity Ward. In compenso, rimane intatta la natura arcade del gameplay, eliminando qualsiasi forma di simulazione e balistica nel gunplay, mantenendo inoltre quel sistema di movimento rapido e frenetico a cui ormai siamo abituati. Eppure la classica tattica del “corro e sparo” risulta ancora deleteria: l’impronta tattica imbastita da Modern Warfare è appena accennata, seppur il numero di finestre e porte da tenere sotto controllo, soprattutto nel multigiocatore, sono state ridotte. L’impressione avuta durante le svariate ore di gioco consumate tra campagna, online e modalità zombi è quella di essere di fronte a un ibrido tra passato e presente, poiché sembra di avere davanti ai propri occhi il tanto caro vecchio Call of Duty Black Ops, ormai celatosi sotto la maschera di Cold War.

La rivoluzione continua!

In Call of Duty Modern Warfare abbiamo assaporato con gusto il deciso cambio di rotta di Activision grazie a un multigiocatore cambiato radicalmente. Black Ops Cold War segue la rivoluzione multiplayer con diverse novità, a partire dal matchmaking che dall’abbinamento tramite periferica si basa sulle capacità di ogni giocatore, dando dunque modo ai più abili di confrontarsi con avversari ancor più temibili. In questo modo, il cross-play cross-generazionale vedrà più spesso l’incrociarsi delle piattaforme Sony, Microsoft e PC e non troviamo alcuna ragione per cui il sistema di matchmaking andasse per forza cambiato, dato che in questo modo potrebbero verificarsi delle situazioni di disparità a causa delle differenze tecniche e periferiche che dividono console e PC. Troviamo nuovamente la conferma di un supporto post-lancio gratuito, continuando col modello delle Stagioni che tanto hanno arricchito il precedente capitolo. Superato questo punto focale dell’infrastruttura e del supporto che il titolo riceverà nei mesi a venire, come si presenta il multigiocatore? Ebbene, troviamo diversi passi in avanti ed altrettanti indietro. Quelli in avanti sono stati fatti dalle modalità di gioco proposte, tra cui Armi Combinate, che simula la tipica modalità Conquista su larga scala e Scorta il Vip. Anche il Time to Kill (TTK) è stato migliorato, grazie a tempi ridotti nella modalità standard, mentre a Veterano morire sarà un gioco da ragazzi. I passi indietro commessi riguardano invece la personalizzazione delle classi: l’armaiolo torna in un aspetto più essenziale, privando il giocatore di uno sguardo ravvicinato alla modifica delle armi, mentre gli accessori continuano a fornire bonus e malus per le statistiche dei fucili, laddove sarà il giocatore stesso a cercare un equilibrio capace di soddisfare i propri gusti. La medesima essenzialità la troviamo anche nelle specialità disponibili, che a loro volta hanno un ruolo ancor più marginale nel nostro successo; ma seppur vero che un bonus come Ninja sia di vitale importanza qualora si voglia mascherare il rumore dei propri passi, anche in questo aspetto è stato commesso un passo falso: non sarà possibile silenziare il rumore in questione, un guaio se consideriamo un comparto sonoro ancor più affinato. Ma non è tutto: tornano le wildcard, che permettono l’inserimento di più specialità della stessa categoria o di disporre di un maggior numero di accessori, equipaggiamenti o armi primarie, mentre ritroviamo i potenziamenti da campo.

Altro passo falso è stato invece compiuto in ambito serie di punti, ancor più semplici da ottenere grazie ad una modifica fatta sulla serie. Se un giocatore muore una volta dopo alcune uccisioni di fila od aver accumulato punti, la scorestreak continuerà fino alla prossima morte, perciò non sarà più necessario ottenere la quantità di uccisioni richieste in una sola volta, ed ottenere delle ricompense migliori risulterà ancor più facile, dettando uno papabile squilibrio per le sorti della partita. Attualmente al lancio, Call of Duty: Black Ops Cold War conta circa otto mappe, le quali, come sottolineato poc’anzi, optano per un approccio meno tattico rispetto al predecessore, con meno punti della mappa da tener sotto controllo e meno interazioni disponibili, seppur una strategia più avventata risulti ancor punitiva. Pertanto le varie mappe disponibili vantano spazi ampi, laddove si concentrano gli scontri a fuoco, come in Mosca, in cui le partite si svolgono prettamente a centro mappa, oppure in Garrison dove i giocatori cercano di evitare il corridoio centrale. Le dimensioni generose rendono inoltre leggermente più frustrante il respawn, dato che i punti di rinascita sono collocati alle estremità del campo di battaglia. Anche qui, conoscere le mappe sarà niente di meno che un vantaggio a vostro favore, e fortunatamente imparare le zone più calde della partita, indipendentemente dalla modalità che starete giocando, sarà ancor più semplice. Pure la sindrome del cosiddetto “headglitch” sembra essere stata leggermente curata: eliminare i nemici appena esposti dietro una copertura qualsiasi, almeno finora, non è stato così impossibile. Nella modalità Armi Combinate vi è anche la possibilità di utilizzare dei veicoli terrestri, come imbarcazioni in Armada, carri armati e motoslitte in Crossroads e motociclette in Cartel; questi possono essere utilizzati come armi suicida o semplicemente come mezzo di trasporto per arrivare più velocemente ad un obiettivo della mappa, seppur non trovi alcuna utilità in termini prestazionali nel corso della partita. Il multigiocatore di Call of Duty: Black Ops Cold War rispetta dunque i canoni della saga, attenendosi alle migliorie apportate l’anno scorso dal capitolo sviluppato da Infinity Ward, compensando con qualche aggiunta alla playlist delle modalità disponibili, cascando per terra con qualche passo indietro di troppo. Ad avvalorare decisamente la modalità online ci pensano le armi storiche come l’XM4 (nonché il fu Commando), l’AK-47 e Ak74U, l’Aug e l’MP5, tanto per citarne alcune, il cui feeling familiare permette al giocatore veterano di interfacciarsi immediatamente con il gameplay.

Dei non morti non molto vivi

La modalità Zombi col tempo è diventata un must have per la saga di Call of Duty. L’egregio lavoro svolto da Treyarch nel realizzare una storia completamente distaccata dagli eventi principali dell’immancabile campagna, riuscendo a realizzare dei personaggi indimenticabili come il quartetto Richtofen, Nikolai, Dempsey e Takeo, hanno fatto sì che una banalissima sopravvivenza ad ondate si tramutasse in qualcosa di ancor più complesso, con una trama intricata ed una lore davvero entusiasmante. Questa modalità si è mano a mano evoluta, ha subito stravolgimenti senza rinunciare ai suoi easter egg intricatissimi, nonostante alcune iterazioni meno appetibili, Zombi è sempre stata richiesta a gran voce dall’ampia community di Call of Duty, e quest’anno, con il ritorno di Treyarch al comando, non poteva assolutamente mancare. Eppure, dagli ideatori della sopravvivenza zombi della saga, ci saremmo aspettati tutto tranne che una semplificazione della modalità. Mi spiego meglio: gli easter egg sono stati da sempre il piatto forte del classico nazi-zombi e nessun indizio utile per risolverli appariva su schermo, o veniva indicato direttamente dal gioco. Si è sempre  trattato di un lavoro di ricerca maniacale, il quale si suddivide in una miriade di passaggi talvolta complessi che richiedevano la coordinazione di tutto il team. L’eterna soddisfazione di lanciare i missili contro la Terra in Moon, affrontare il proprio destino in Origins oppure raggiungere la fine in Revelations, e non riusciamo a spiegarci perché, proprio da Treyarch, arrivi una modalità Zombi alquanto fiacca, fin troppo semplificata la cui sfida reale è dettata – ma neanche tanto – dalle Dark Ops.  I passaggi dell’easter egg della mappa Die Maschine, non altro che un remake dell’originale Nacht der Untoten, vengono a conti fatti segnati sulla mappa, la quale segnala anche altri obiettivi, armi, cassa e bibite acquistabili. La conoscenza necessaria da maturare viene a meno nel momento in cui tutto viene portato sul palmo della mano e non basta di certo l’inserimento di un zombie èlite come il Megaton ad impensierire la vostra sopravvivenza, già di per sé resa meno ostica nel momento in cui potrete utilizzare direttamente la vostra classe personalizzata per iniziare la partita.

La modalità viene ulteriormente stravolta con l’inserimento delle armi rare, epiche e leggendarie, trovandoci davanti ad alcune similitudini con Warzone, che è già incluso nel file d’installazione di Call of Duty: Black Ops Cold War. Fortunatamente ad equilibrare le cose ci pensano le bibite storiche come il Juggernog, PHD Flopper, Quick Revive e molte altre ancora, potenziamenti che potranno essere migliorati per ottenere effetti maggiori dai bonus acquisiti. Torna anche la pack-a-punch, in una versione leggermente rivisitata che permette di potenziare fino a tre livelli un’arma e non possono mancare di certo gli equipaggiamenti costruibili presso i banchi da lavoro. La mappa di gioco invece è affascinante e riesce a rispolverare un grande classico, ampliandolo con svariate aggiunte, a partire dalla aree esplorabili. Specie nei sotterranei, l’aspetto horror di questa modalità viene risaltata decentemente, ma una volta riattivata la corrente – ormai una prassi –, l’atmosfera concretizzata con tanta fatica svanisce nel nulla, per trasportare il giocatore in una pura sopravvivenza ad ondate.

I limiti della current-gen

Abbiamo giocato Call of Duty: Black Ops Cold War sul modello standard di PlayStation 4, presumendo una buona ottimizzazione per la console current-gen di casa Sony poiché, a conti fatti, il nuovo capitolo della saga di Activision è stato sviluppato sulle attuali piattaforme e migliorato sulle nuove belve della next-gen. Fatte queste dovute premesse, ci accorgiamo dei limiti di PlayStation 4 nel momento in cui di verificano dei consistenti cali del frame rate. Sia chiaro, per maggior parte dell’avventura sia in giocatore singolo, che nel multigiocatore e a zombi – passando sopra ai problemi di latenza verificatisi sporadicamente –, il frame rate è sempre stato saldo sui suoi sessanta fotogrammi per secondo, garantendoci soprattutto nelle modalità online una prestazione fluida ed impeccabile. Nella modalità campagna abbiamo riscontrato invece diversi problemi, come alcuni casi di instabilità della prestazione tecnica, diversi crash dall’applicazione o completi freeze che ci hanno portato a riavviare l’applicazione più volte e diversi glitch grafici. A tutto ciò si aggiungono i pop up delle texture ed inevitabili caricamenti fin troppo prolissi all’avvio di una missione. Problemi di natura tecnica che, purtroppo, non trovano una reale spiegazione se non  legata ad un’ottimizzazione tutt’altro che ottima, difetti capaci di minare la godibilità di un’esperienza in giocatore singolo tutto sommato piacevole. Ma vi sono anche buone notizie sulla gestione dei dati. Uno dei problemi principali di Call of Duty: Modern Warfare e Warzone è l’eccessivo peso richiesto per mantenere installato il gioco sul vostro spazio d’archiviazione. Nonostante il download modulare, ossia la possibilità di scaricare pezzi di gioco a propria scelta, la rimozione di questi pacchetti richiedeva la completa cancellazione dell’applicazione, obbligando dunque ad un nuovo download di massa che avrebbe richiesto ore o addirittura giorni. In questa occasione Treyarch è riuscita a risolvere il problema riscontrato soprattutto dalla versione digitale del titolo, abilitando un’opzione che permette al giocatore di disinstallare i pacchetti che non si vogliono più utilizzare e dato anche il peso di quelli legati alla campagna, possiamo definire questa come una trovata a dir poco geniale.

Tornando al discorso tecnico/grafico, nonostante tutti i problemi sopracitati, anche su PlayStation 4 il titolo è una gioia per gli occhi, figuriamoci con il raytracing abilitato, il 4K e i 120fps garantiti dalle console di nuova generazione e su PC. In primis, le ambientazioni in alcune occasioni, come Berlino oppure la sede del KGB sono sensazionali solo da vedere, e i modelli poligonali risultano essere piuttosto curati. Che dire di Woods, Mason, Adler e Hudson, i cui dettagli sottolineano i segni della guerra ormai rimasti impressi sui loro corpi, così come l’età e l’invecchiamento che sono lineamenti ben marcati. Anche il sistema di illuminazione regala qualche piccola soddisfazione e il gioco trae il massimo proprio negli scenari bui, laddove la luce di un faro, o delle luminarie caratterizzano gli ambienti da noi calpestati con un po’ di suggestione. Il comparto audio invece risalta egregiamente le scene d’azione marciando sui bassi, ma in particolar modo nel multigiocatore sarà un’arma su cui potremo fare assolutamente affidamento, grazie alla rumorosità dei passi dei nostri nemici. Cambia invece il doppiaggio, con tutte le voci – almeno nella localizzazione nostrana – mutate rispetto al primo Black Ops ad eccezione di Hudson, che ritrova il proprio timbro vocale da agente della CIA.

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CONCLUSIONI

Call of Duty: Black Ops Cold War è il consolidamento della rivoluzione del franchise attuata da Activision nel 2019, ponendo su un piatto d’argento una nuova esperienza in giocatore singolo soddisfacente, accompagnata da un multigiocatore in veste classica senza rinunciare a chicche contenutistiche. Nonostante questi aspetti positivi, è la modalità Zombi a rappresentare in parte l’anello debole del nuovo capitolo sviluppato da Treyarch, a cui si aggiunge un comparto tecnico, almeno su PlayStation 4, piuttosto altalenante, seppur il titolo riesca a stupire con diversi sprazzi visivi fenomenali.


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Matteo Murri

Appassionato di videogiochi, manga e anime, si interessa principalmente al panorama videoludico orientale, appassionandosi agli JRPG e non solo. Si destreggia in qualsiasi genere videoludico, osservando con interesse anche i titoli indipendenti, con l'obiettivo di entrare in contatto con tutte le sfumature possibili del videogioco.